20XX - La
magia dell'ultimo giro
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C’è un segreto nell’ultimo giro; c’è una magia nell’ultimo giro.
Le gare hanno tutte una loro
personalità, ma quelle in cui si percorrono più giri dello stesso
tracciato sono profondamente diverse dalle gare in linea, perché
impongono più volte il superamento della medesima difficoltà, lasciando
molto meno alla casualità e rendendo indispensabile un’analisi
approfondita del percorso per evitare il reiterarsi dell’errore.
La ricognizione è una fase
fondamentale e indispensabile della preparazione di un evento
agonistico, ma è soltanto durante la gara stessa che arrivi a conoscere
il percorso in maniera perfetta, perché lo stato d’animo è diverso.
Quando sei in gara, vivi in
un mondo parallelo, dove il tuo corpo e la tua mente si muovono in una
alterazione dello spazio tempo, che esalta certe percezioni umane al
punto di farti conoscere per nome e cognome ogni asperità, ogni
insidia, ogni aspetto di quegli X mila metri di asfalto da percorrere Y
volte.
E allora è quella boa che ti
dice: “da qui, via forte”, è quella crepa nell’asfalto che ti dice “qua
stai attento”, è quella curva carogna che ti dice “stupido, ti ho già
fregato al giro scorso.”
Al primo giro la pista ha
colori freddi, suoni ed odori estranei, temperature sgradevoli; poi
giri e giri e i colori si ammorbidiscono, i suoni diventano
incitamenti, gli odori fanno da contagiri, le temperature diventano
piacevoli e tutto comincia a sembrarti famigliare e alleato.
All’ultimo giro sei a casa,
sei un tutt’uno con la pista e col tuo corpo, mentre nelle vene scorre
già l’ambrosia della finish line che si avvicina.
Tutto è diverso nell’ultimo
giro: puoi guardare ogni asperità con maggiore sicurezza e sibilare
intanto: “…e di qua non passo più”. Puoi tirare ancora più forte nelle
parti dove sai di essere stato veloce, perché le energie ci sono e le
puoi, anzi le devi spendere, perché tanto quella salita là non dovrai
più affrontarla e quella zona dove le gomme non ti davano sensazioni
adeguate è ormai alle spalle.
E dietro quella curva sai
che c’è l’amico che grida, il tifoso con la bandiera, il compagno di
squadra con il cronometro e tutti ti urleranno la stessa cosa “dai che
è fatta!”
E dietro quell’altra curva
c’è quel giudice, quello che sanno tutti che è inflessibile, ma ormai
ti ha già visto passare più volte e non ha mosso un sopracciglio e,
vedrai, anche stavolta non avrà nulla da dire.
E infatti eccolo là,
immobile, che ti scruta, ma stavolta, quando gli sei a un passo, invece
di restare impassibile, come a ribadire: “sono qua e ti curo”, ti dice
nella sua lingua, in una delle mille lingue che aleggiano intorno ai
circuiti di gara, “gut gemacht”, o “well done”, o “dobro, dobro” e,
chissà come mai, in quel momento lui non è più un nemico e ti viene
spontaneo accennargli un mezzo sorriso, perché senza di lui, lì a bordo
pista, quella gara neppure sarebbe partita.
Oggi che le gare le vivo più
come direttore di gara che come atleta, cerco di ricordarmi anch’io di
dire “bravo” a chi si avvicina al traguardo, perché si goda la magia
dell’ultimo giro, a meno che non la stia combinando grossa e il mio
ingrato compito mi costringa a rovinargli la festa.
Magicamente l’ultimo giro
diventa il tuo giro d’onore, con tutti che ti acclamano perché stai
concludendo la tua fatica e quindi, già per questo, sei un vincitore,
con te che, se ce la fai, ringrazi con lo sguardo, con le bandiere che
sventolano, con i cronometri che fremono nell’attesa dell’ultimo
scatto, con la vista dell’ultima curva e gli incitamenti a tenere duro
e, finalmente, con lo speaker che chiama il tuo nome, quando appari
sulla dirittura d’arrivo.
Allora spremi le ultime
gocce della tua energia e se un avversario vuole ingaggiare una volata,
magari irrilevante per la classifica, non lo deludi e tiri, tiri, tiri
alla morte; lo fai per lui, lo fai per onorare il pubblico che ti
guarda e il nobile sport che pratichi e, mentre dai l’anima, pensi che
è bello e che, in fondo, è un peccato che sia già finita.
Il resto sarà solo
l’aritmetico gioco della classifica, la festa sul podio per qualcuno e
nel parterre per tutti gli altri, ma quando senti lo speaker che grida:
“joining now the finish lane, representing Italy… e il tuo nome a
seguire”, quello è il momento in cui capisci che hai fatto il tuo
lavoro come si deve, primo o ultimo arrivato, ma al meglio di te stesso
e per un attimo te la puoi godere, puoi essere sazio di soddisfazione:
alla prossima gara comincerai a pensare un centimetro dopo avere
tagliato il traguardo.
Sì, c’è una magia
nell’ultimo giro. Solo chi l’ha provata può capire; c’è la magia che sa
dare solo un evento agonistico, perché agonismo non vuole dire per
forza “vittoria”, agonismo non vuole dire per forza “prevalere,
battere, superare, imporsi”.
Agonismo vuole dire, come
prima cosa “impegnarsi ogni giorno”, “rispettare le regole”, “dare
tutto”, “essere leali”, “onorare l’avversario”, “onorare lo sport”.
E agonismo, all’ultimo giro
vuole dire anche potersi dire “bene… hai dato il massimo; adesso goditi
lo striscione del traguardo.”
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