2012 - Tassati, non tartassati
"Credevamo
che per voi italiani non fosse più possibile venire in Germania a fare
agonismo, viste tutte le tasse che ha messo il vostro governo."
Così
ci avevano accolto, con un misto di stupore e commiserazione, ad un evento
agonistico della scorsa estate in una incantevole località della Foresta Nera.
Unica
voce fuori dal coro un immigrato italiano, che periodicamente incontriamo nelle
nostre peregrinazioni oltralpe il quale, udendo questo "benvenuto",
ci aveva una volta di più ricordato la sua gioventù operaia in terra straniera
e la sua soddisfazione per essere oggi felicemente pensionato ed al di fuori
dell'italico guazzabuglio.
Non
so da quale parte non la raccontino giusta; forse la situazione socio economica
nella quale ci dibattiamo è più pesante di quanto ci venga lasciato intendere,
o forse all'estero viene dipinta come tale e così, guardati un po’ da
terzomondiali, ci eravamo schierati al via, mentre lo speaker ed i media
indugiavano una volta di più sulla presenza dei due vecchi amici italiani, che
già nelle stagioni precedenti avevano calcato quelle scene e si erano fatti
onore.
"Stai
davanti tu, che io parto adagio", mi aveva sibilato in un orecchio la
Dani, aggrappata ai bastoni con il volto cereo per la tensione, rinnovando le
sue promesse da marinaio che fanno parte del rituale pre gara, insieme alla mia
pipì che scappa sempre all'annuncio dei sessanta secondi e la solita domanda
"ma che ci faccio qui?"
La
pistola dello starter fumava ancora, infatti e lei già aveva saldamente preso
la testa del gruppone e non l'avrebbe mollata più, nonostante il diluvio
universale scatenatosi al chilometro uno e misteriosamente scomparso un metro
dopo il traguardo.
La
gara fu senza storia: i due italiani super tassati davanti a tutti, ad
arrancare sull'asfalto viscido, ad inventarsi soluzioni tra gomme e puntali per
avere la grippe migliore, ad affondare nella palta di ciò che fino a dieci
minuti prima era uno sterrato immacolato, ad infradiciarsi fino al midollo ma,
boia chi molla, a portare la pellaccia al traguardo regolando una concorrenza
agguerrita.
Ad
essere sinceri non posso dire che il nostro orgoglio nazionale graviti
ultimamente a livelli stratosferici, perché guardandosi in giro non c'è molto
di cui essere orgogliosi, ma quando si va all'estero il tricolore ce lo
portiamo addosso anche a non volerlo.
Ed
ora, pur essendo nato e cresciuto in una città dove il simbolo del "Sole
delle Alpi" è altrettanto amato della bandiera nazionale, guardando la
Dani salire sul gradino più alto del podio mi sentivo andare le gambe in pappa,
mentre cercavo di recuperare le forze ed una faccia indifferente, perché tra
qualche istante sarebbe stato il mio turno fare risuonare l'inno di Mameli
invece del Deutschlandlied, che gli astanti avrebbero certamente più gradito.
Ma
lo sport, per fortuna, unisce le culture e così come lungo il tracciato ci
erano giunti sinceri e calorosi gli incitamenti del folto pubblico, nonostante
i campioni locali più amati fossero ben dietro di noi, anche adesso l'applauso
per quel tricolore più in alto di tutti fu sincero; oltre alle solite coppe e
medaglie gli organizzatori fecero a gara per inondarci di prodotti della zona,
bucolica e meravigliosa e ci caricarono di dolciumi, di formaggi e di ogni
sorta di pane e farinacei, affinché portassimo a casa un pezzetto della loro
terra a ricordo del bellissimo week end di sport ed amicizia.
Andammo
alla caccia della nostra Yaris, difficile da ritrovare sepolta com'era dalle
Mercedes, le Audi, le BMW degli amici ed avversari teutonici; stipammo con i
premi il bagagliaio già zeppo di borse, di bastoni e di qualche quintalata di
fango raccolto in gara.
Poi
lesti lesti ci avviammo, perché ci aspettava un lungo viaggio verso casa, ma
non potemmo non notare che alla nostra partenza nessuno ci disse "tornate
ancora il prossimo anno".