Il
mio regalo del sessantesimo è bell’e fatto…
Quando,
sbucando sul rettilineo finale, ho visto la Dani che mi aspettava con la bandiera
in mano e persino la Raffa, ancora rivestita del suo ruolo di incorruttibile
giudice, ha smesso di sbirciarmi di sottecchi, pronta col cartellino giallo ad
impallinarmi al primo accenno di scorrettezza e ha cominciato ad urlare “dai
che facciamo il tempone”, ho capito che era fatta.
Pochi
secondi dopo lo splendido rilascio della tensione mi ha fatto vacillare le
gambe, mentre gli occhi lucidi della Dani mi cercavano per l’abbraccio
liberatorio e mille mani stringevano le mie, per i complimenti di rito.
Persino
Tiziana, rimasta fino a quel momento serissima e inflessibile al tavolo di
giuria, è saltata in piedi con un sorriso trentadue denti, felice di essere stata
parte attiva e indispensabile dell'impresa mondiale che, improvvisamente, era
diventata realtà.
È
finita come finiscono le belle avventure sportive: in gara io sono l'atleta e
tu il giudice cattivo, io sono l'atleta e tu l'avversario, io bianco e tu nero,
io italiano e tu straniero, io buono e tu cattivo, io vincerò e tu perderai e
intanto quel maledetto cronometro che gira, gira, gira… e poi si taglia il
traguardo e in un lampo le barriere scompaiono e tutto si scioglie in un
abbraccio, in uno scambio di gioia, di sorrisi, di sudore, di comunione tra
vincitori e vinti.
C’erano
diecimila metri da percorrere, cinquemila la Dani e cinquemila io, per portare
a casa un record del mondo che sembrava messo lì a bella posta, solo perché noi
due tentassimo di batterlo.
Che
la Dani viaggi come uno sparo ormai lo hanno capito in tutto il mondo, avendola
vista calpestare il podio in mille occasioni, lasciandosi dietro ragazzine
palestrate e molti altri esempi di varia gioventù.
Il
problema non erano certo i suoi cinquemila, dai quali ci attendevamo lo zoccolo
duro del tempo finale.
Però
poi dovevo andare via io, lottare contro gli anni, la pancia, l’allenamento a
poco più di zero e, giusto per non farci mancare nulla, contro un cuboide
ribelle che da un mese mi fa un male della malora e che implora di essere
lasciato a riposo, cosa che non posso assolutamente fare.
Dovevo
andare via io e non rovinare il lavoro della Dani, che sapevamo sarebbe stato
di altissima qualità.
Infatti
lei è partita sparata, con un tempo sul primo chilometro da fare rabbrividire e
poi con altri quattromila metri di quelli che si vedono solo sui libri di testo
e, per la verità, neanche su quelli.
Ovvio
che, dopo una prova simile, fosse proibito sbagliare; così ho pensierosamente
sfilato la giacca a vento e ho cominciato a scaldare i miei ormai antichi
muscoli, dissimulando i mille pensieri e le mille incertezze dietro la faccia
da cattivo, mentre la Dani percorreva l’ultimo chilometro.
Con
misurata lentezza Tiziana si è alzata dalla sua sedia e si è posizionata sulla
linea del traguardo, per darmi il via non appena il torso di Daniela la avesse
varcata.
Il
tempo si è dilatato e i milionesimi di secondo sono diventati qualcosa da
contare ad uno ad uno, fino a che un secco “via!” mi ha sciolto il guinzaglio,
facendomi realizzare che ormai ero in ballo.
Il
resto è stato solo un tourbillon di passi, di fatica, a volte di dolore, di
“pensa solo ad andare e a niente altro”, di "lì c’è una crepa nell’asfalto
che non avevo visto in ricognizione”, di rumore di foglie secche calpestate, di
“forza Giorgio” urlati da mille voci, di mani che scrosciavano applausi, di
bicchieri d’acqua presi al volo e scaraventati via senza guardare addosso a chi
finissero, di “immaginati un raggio laser diritto davanti a te e vagli dietro”,
di “sono al primo giro e sono già a pezzi”, di “dai che ne mancano solo tre”,
di “dai che ne mancano solo due”, di “dai che ne manca solo uno”…
E
dietro la Raffa con la bici, che applica tutto il suo mestiere di inflessibile
giudice internazionale, che mi spingerebbe se potesse, ma il suo compito è
castigarmi, caso mai sbagliassi e anzi, usa un pelo in più di intransigenza per
evitare che qualcuno sospetti che l’amicizia che ci lega si trasformi in un
controllo più blando durante il record.
Agli
occhietti scaltri e infallibili della Raffa si aggiungono, al termine di ogni
giro, quelli severi di Tiziana, alla quale non scappa nulla mentre sta lì
immobile e minuta, ma è chiaro che c’è, che vede tutto e che non mi perdonerà,
se sarà il caso.
Massacrerò
in cinque chilometri un paio di asphalt pads concepiti per durarne cinquanta, ma
questo è Nordic Walking Agonistico Ufficiale Internazionale, non una passeggiata
con i bastoni in mano per un pubblico anziano e malaticcio, come tanti pensano
sia il Nordic Walking, non esclusi molti operatori del settore che, col loro
atteggiamento, mortificano uno sport nobilissimo.
E
improvvisamente la Dani è laggiù col tricolore in mano, ad indicarmi che è
finita; non ci credo ma ho fatto il tempone anch’io, un tempone pazzesco ogni
oltre personal best e oltre ogni più rosea speranza.
Ascolto
il tempo finale e capisco che l'adrenalina di un record del mondo è cento volte
più potente di quella di una gara, persino di quella di un campionato del mondo.
È
una adrenalina che "mette le ali", come una famosa bevanda che
sponsorizza le attività più bizzarre, ma si disinteressa del Nordic Walking.
È
una adrenalina fatta di solitudine, di nessun riferimento tranne un riscontro
cronometrico urlato ad ogni passaggio, che il cervello ormai ipossico talvolta
non riesce a razionalizzare.
È
una adrenalina fatta di fatica e di dolore, ma è una adrenalina che tira fuori
davvero tutto ciò che hai da dare.
Un’ora,
otto primi, due secondi e cinque decimi ci proiettano nel database dei record
mondiali della nobile arte del Nordic Walking Agonistico Ufficiale
Internazionale.
Scappa
la lacrimuccia e saltano i tappi del prosecco. Il record è mondiale, ma il vino
è assolutamente italiano; gazzose e Coca Cola, chissà come mai, restano lì del
tutto trascurate e signore insospettabili allungano i bicchieri con ostentato
piacere, nonostante si sia a metà mattina.
Ventiquattro
ore più tardi arriva puntualissima l’omologazione del record da parte delle
efficienti autorità sportive internazionali, che hanno lavorato per noi anche
di domenica.
È
fatta, è finita e, adesso che stress e fatica sono alle spalle, è quasi un
peccato che sia tutto concluso, in attesa che qualcuno si metta in testa di
portarci via questo record e noi di riprendercelo daccapo. Questa è la legge
dello sport, spietata e meravigliosa; ci proveranno e, prima o poi, ci
riusciranno: saremo i primi a battere le mani.
Intanto
ci godiamo il nostro momento, l’abbraccio di tutti, la coppa di quelle che
vendono al Decathlon, ma comunque per noi preziosissima e la soddisfazione di
una cosa fatta per bene e con il nome ITALIA accanto, sperando che, almeno per
una volta, sia l’Italia di tutti.
Grazie
Dani, che non devi dimostrare nulla a nessuno, perché da anni dimostri di
essere una grande, al di sopra di ogni polemica e di ogni gelosia: tutte coloro
che ti hanno avuta per avversaria in gara ti stimano profondamente.
Grazie
Presidente Markus; l’unica bottiglia superstite di prosecco è per te.
Grazie
Vice Presidente Antonio, più emozionato tu a consegnarci la coppa che noi a
riceverla.
Grazie
Raffaella e Tiziana, giudici seri e attenti, come solo delle Amiche sanno
essere.
Grazie
Chiara e Nadia, cronometriste precise e puntuali.
Grazie
Maria Anna, Cinzia, Anna detta Bert, Mary, Luisa, Massimo, sparpagliati sul
tracciato affinché nulla ci ostacolasse.
Grazie
Lella, che hai preso al volo le foglie secche con la tua scopa, prima ancora
che toccassero terra, perché il nostro percorso fosse il più pulito possibile.
Grazie
Gaia, Marco, Sergio, per le riprese e le foto che ulteriormente fisseranno
nella memoria un evento che già di per sé è indelebile.
Grazie
Orietta, che ci sei sempre, puntuale ed efficace, anche se non ti metti mai in
mostra.
Grazie
Jesus Lodosa, che mi hai fornito dei pads che si sono macinati, ma non mi hanno
fatto fallire un solo passo.
Grazie
Maria Walter, che non conosco personalmente, ma che mi hai dato on line ogni
assistenza utile per l’omologazione del record e spesso ti sei dimenticata del
fuso orario che ci separa, pur di darmi consigli e indicazioni con
tempestività.
Grazie
a chi si è spellato le mani ad applaudire e le corde vocali a fare il tifo.
Sì
sì, il mio regalo del sessantesimo è bell’e fatto…