2010 - Mondiali BIS
Avevamo
promesso che saremmo tornati agguerriti e abbiamo mantenuto la parola: ancora
una volta Daniela ed io abbiamo preso la strada della Carinzia austriaca, proprio
al confine con la Slovenia, per partecipare al terzo campionato mondiale di
Nordic Walking.
Ancora
una volta siamo stati gli unici concorrenti a rappresentare l’Italia in questo
sport che, pur raccogliendo un enorme numero di praticanti in Europa, da noi
continua ad essere pressoché sconosciuto e per nulla identificato in qualcosa
di agonistico o almeno di sportivo.
Al
nostro arrivo una prima occhiata alla start list ci conferma che durante
quest’anno il livello medio si è elevato vertiginosamente e che domani sarà
dura tenere il passo dei più forti lungo i ventuno chilometri abbondanti della
mezza maratona; notiamo che ci sono molti atleti giovanissimi e persino dei
diciannovenni: non ci consola affatto pensare che noi invece abbiamo nipoti
diciannovenni…
Nella
hall riservata alla parte cerimoniale dei campionati, un noto artista locale ha
realizzato vivaci acquerelli con scritte di benvenuto per gli atleti di tutte
le nazioni convenute.
Ecco
un “welcome” con un Big Ben per i britannici, i colori del tartan, il
quadrifoglio e un “faìlte” per gli irlandesi, il profilo di Stoccolma con le
trecce rosse di Pippi Calzelunghe per la Svezia e una famosa cattedrale dal
nome impronunciabile per i forti polacchi; per noi, sotto un “benvenuti” grande
così, campeggia una pizza…
L’immagine
del nostro paese nel mondo evidentemente non cambia mai.
Abbiamo
scelto come divisa per le cerimonie ufficiali la tuta della nostra squadra, il
Nordic Walking Como International Agonistic Team, sul cui stemma campeggia il
nostro lago.
D’altra
parte Como è ben nota nel circuito agonistico ufficiale internazionale che frequentiamo
abitualmente, dove di dispiaceri agli atleti di altre nazioni ne abbiamo
rifilato più di uno.
Toccante
come sempre la cerimonia di apertura, con gli inni nazionali ed i discorsi
protocollari delle autorità, seguiti dalla sfilata delle squadre e delle bandiere.
Quando
presentano l’Italia, gli amici ed avversari dello scorso anno ci riservano un
boato di simpatia…
Poi
è il momento dei giuramenti; atleti e giudici si alternano sul palco, giurando
che tutti seguiremo le regole e faremo nostro lo spirito olimpico, nel segno
del rispetto e della fratellanza con gli avversari.
L’emozione
si palpa nell’aria e finalmente il presidente della federazione dichiara ufficialmente
aperti i terzi campionati mondiali; da questo momento si fa sul serio.
Nel
pomeriggio abbiamo percorso in auto il tracciato di gara, analizzandolo in ogni
metro ed in ogni asperità; è di sicuro più duro e più tecnico rispetto allo
scorso anno, di certo meno veloce e più faticoso.
La
pioggia recente non ha affatto migliorato le cose nei tratti in sterrato.
Lungo il percorso campeggiano già le scritte dei tifosi, inneggianti ai campioni delle proprie nazioni, molti dei quali sono acclamati e coccolati a casa loro come da noi lo sono i goleador; per noi ci sono solo l’asfalto e la consapevolezza che domani sarà dura.
Il
giorno della gara le squadre più accreditate arrivano alla partenza dai loro
cinque stelle sui pullman delle federazioni, con i tecnici che si prendono cura
dei materiali, gli allenatori ed i preparatori che coccolano ogni singolo muscolo
degli atleti, le bevande isotoniche e le tabelle di gara stilate al secondo e
personalizzate per ogni marciatore; invece io e la Dani abbiamo trascorso la
notte a spese nostre nella pensione più economica, abbiamo fatto colazione a
pane e burro e smoccoliamo per trovare un parcheggio per la nostra Yaris in
mezzo alle auto degli spettatori, però ci siamo.
Era
previsto brutto tempo, invece c’è uno splendido sole; decidiamo di cambiare le
gomme all’ultimo minuto, visto che il percorso sarà asciutto.
Sappiamo
che i bastoni, gommati col battistrada nuovo, saltelleranno di più lungo i
primi chilometri e questo caricherà di più le braccia; speriamo che il tutto
sia compensato da una maggiore grippe sul terreno.
Alla
partenza ci scambiamo una strizzata d’occhio, oltre alle solite raccomandazioni
da cinquantenni, che dimenticheremo un attimo dopo il bang dello starter,
mettendoci dentro l’anima, costi quel che costi; il pubblico, ovviamente, è
tutto per i locali, gli austriaci, ma tedeschi e polacchi campeggiano nella
loro palese superiorità fisica, tecnica e numerica.
“Chi
siamo noi?” dico alla Dani e lei di rimando: “Nordic Walking Como!”.
Siamo
comaschi prima ancora che italiani e questo è il nostro orgoglio.
Lo
starter chiama il count down dei secondi; facciamo scattare i cronometri e un
colpo di pistola dà il via al mondiale; da qui sarà solo fatica, forza d’animo,
attenzione ai rilievi chilometrici per dosare le forze e, soprattutto, voglia
di soffrire.
La
partenza è sempre un momento caotico: centinaia di atleti si avventano sul
tracciato, cercando le posizioni migliori per affrontare le prime curve.
Si
cerca di non restare indietro, di non farsi imbottigliare. Vola qualche colpo
proibito e, inflessibili, i giudici alzano i primi cartellini gialli; qualcuno
pagherà le infrazioni al regolamento finendo anzitempo la propria gara davanti
ad un cartellino rosso.
Il
passaggio al primo chilometro è forzatamente lento e chi ha lasciato troppi
secondi sul terreno per via di una partenza mal gestita avrà di che pentirsene
ed arrancare per il resto della gara per recuperare; poi il gruppo si sgrana e
la gara vera comincia qua.
I
primi dieci chilometri sono relativamente pianeggianti, facili e veloci; chi
può innesta la marcia più alta e cerca di mettere fieno in cascina, perché al
chilometro undici cominceranno le rogne serie.
Dall’undici
al diciassette, infatti, ci sono sei chilometri di sterrato, con lievi salite,
discese e tratti di bosco che faranno la selezione vera; per chi uscirà indenne
da questo inferno ci saranno poi quattro chilometri facili verso il traguardo.
L’aria
in questa zona è particolarmente asciutta e il sudore evapora subito; non capisco
quanto effettivamente stia sudando e ai rifornimenti non so quanto bere;
evidentemente esagero e il sovraccarico d’acqua si fa sentire presto sotto
forma di un bisogno impellente, che metterebbe voglia di fermarsi un attimo dietro
un albero, ma un po’ per pudore e un po’ per non perdere tempo tiro diritto.
Daniela
invece compie l’errore diametralmente opposto: rifornisce poco e soffrirà brutalmente
la sete, al punto da confessare di avere pensato seriamente durante la gara di
fermarsi a bere l’acqua di un fiume.
Certo,
se la nostra permanenza in zona e la nostra acclimatazione fosse stata più
prolungata, questo problema l’avremmo risolto, ma per venire ai mondiali
abbiamo avuto la miseria di un giorno di ferie dal lavoro e questo è stato il
massimo che si è potuto fare.
Intanto
gli atleti più blasonati ed organizzati sono seguiti passo passo da tecnici e
allenatori, che porgono le borracce con il liquido giusto al momento giusto,
comunicano i tempi degli avversari e suggeriscono la migliore tattica di gara;
noi arraffiamo bicchieri d’acqua nei punti di ristoro, guardiamo i nostri
orologi da polso e cerchiamo di mettere in pratica l’unica tattica che
conosciamo: quelli davanti sono da andare a prendere, quelli di dietro non ci
devono passare.
I
passi si sommano ai passi, la parte difficile è superata e il chilometro
diciassette compare come una liberazione; dovrebbe essere facile da qua alla
fine: una passerella sparata verso il traguardo.
Invece
non è così: le leggere salite delle ultime migliaia di metri, che ieri durante
la ricognizione erano sembrate così lievi, non si rivelano assolutamente tali
con la fatica nelle gambe. Si va avanti ormai più con la forza della volontà
che con l’energia muscolare, poi, finalmente ecco il miraggio dell’ultimo
chilometro.
Davanti
non c’è più nessuno da prendere, dietro ormai nessuno ce la farà a prendere noi
e verrebbe voglia di rialzarsi e finire con calma, ma il pubblico è lì che
grida e applaude.
Non
sono venuti per vedere gente che se la prende comoda e non saranno certo i
comaschi a deluderli; sotto con braccia e gambe, dunque e facciamo anche lo
sprint finale.
Quando
mancano forse cinquecento metri all’arrivo sento lo speaker chiamare il nome di
Daniela, che evidentemente sta tagliando il traguardo in quel momento; non
capisco cosa dice, perché nonostante siamo ai campionati mondiali lui parla
solo la lingua dei krauti, ma ciò che conta è che la Dani è circa tre minuti davanti
a me, che ho un buon riscontro dal mio cronometro.
Questo
dovrebbe volere dire una buona classifica per lei.
Poi
finalmente sono anch’io sulla dirittura d’arrivo; il beep del chip agganciato
alla mia scarpa destra mi conferma che il sistema di cronometraggio ha
memorizzato il mio tempo e, soprattutto, che anche quest’anno sono arrivato al
traguardo dei campionati mondiali.
Dico
“danke, danke” alla ragazzina che mi mette al collo la medaglia di finisher e
le faccio un buffetto sulla guancia; lei fa “eh eh eeeeh…” e si tira indietro
con un saltino civettuolo.
Poi
finalmente mi concedo ciò che agognavo da diversi minuti: arraffo un bicchiere
di un beverone qualsiasi, cerco la Dani nel caos della zona arrivi, vedo che
sta bene e mi affloscio su una panca, lasciando finalmente che lo schermo
diventi nero; è fatta.
Arrivano
le classifiche: Dani è quinta, preceduta solo dalle austriache e polacche di
turno, che passano la vita con i bastoni in mano invece che sedute ad una
scrivania; un risultato di tutto rispetto. Io sono undicesimo, migliorando la
posizione dello scorso anno e con davanti, guarda caso, solo austriaci,
tedeschi e polacchi; i riscontri cronometrici ci dicono che noi, dilettanti
puri, abbiamo messo alle nostre spalle oltre la metà dei professionisti:
insomma, i comaschi sono andati bene.
La
cerimonia di premiazione è il momento della gioia, della fratellanza, delle
nuove amicizie e delle promesse di rivederci presto; non c’è nessuno che,
apprendendo che siamo di Como, non ci dica “Ahhh, Lake of Como”, oppure “Comersee”. Il lago di Como lo conoscono davvero tutti
nel mondo, persino i concorrenti venuti dalla Namibia, che non è proprio a due
passi; siamo orgogliosi di questo, altro che la pizza.
È
già tutto finito; torniamo in pensione con le mail dei nuovi amici, le foto, le
medaglie nelle borse, il ricordo della stretta di mano del campione del mondo,
tanta stanchezza e tanta soddisfazione.