2011 - Asfalto polacco
Ritorna a REPORT EDITORIALI"Eine Minute bis zum Start!”
Lo starter ha già la pistola in pugno e ci annuncia che manca un solo
minuto al via del quarto campionato del mondo di Nordic Walking:
ormai tempo per ripensarci non ce n’è più;
Gli atleti schierati al nastro di partenza hanno ancora qualche accenno
di sorriso sulle labbra, qualcuno scambia le ultime parole, qualcuno
verifica l’attrezzatura.
Gli ultimi secondi non passano mai.
Siamo qua per la terza volta a competere per un titolo mondiale e
conosciamo bene il luogo ed il tracciato; la Carinzia austriaca è
sempre placida come la ricordavamo e a pochissimi chilometri, appena al
di là delle colline, c’è la Slovenia, vicina come lo è la Svizzera per
noi.
Il cammino che ci ha condotto sin qui è stato lungo ed impegnativo ed è cominciato lo scorso novembre.
Che si sarebbe trattato di una ben strana stagione l’abbiamo capito
subito, gareggiando il giorno di Ognissanti in Germania con oltre venti
gradi di temperatura mentre noi sfoggiavamo sulla Yaris le gomme neve
appena montate in ottemperanza alle disposizioni europee; poi abbiamo
preso acqua per mesi, allenandoci sotto la pioggia persino il giorno di
Natale.
Siamo riusciti a gareggiare in aprile con trenta gradi, a fare
allenamento a livello del mare a luglio con il maglione di lana e a
sfinirci di caldo ad agosto, quando contavamo sul fresco per fare
velocità pura, ma non è stato possibile, perché da noi trentacinque
gradi dopo Ferragosto sono davvero un’anomalia e tirare a mille con
quelle temperature va oltre l’umanamente immaginabile.
Se ciò non bastasse, abbiamo un anno in più sulla groppa e ci si è
messo pure il super franco svizzero a consentirci di gareggiare meno di
quanto avremmo voluto, perché le gare sono tutte da quella parte,
mentre da noi il Nordic Walking continua ad essere snobbato, o peggio
relegato al ruolo di attività escursionistica, tra le italiche baruffe
di mille federazioni auto dichiarate, dirette da sedicenti esperti che
non hanno mai messo il naso fuori di casa e si auto referenziano come i
depositari dell’Unica Verità.
Intanto, per il terzo anno consecutivo, la rappresentanza italiana ai
mondiali si affida a due comaschi ultracinquantenni, che si
autofinanziano, si allenano e fanno fatica, mentre gli altri pensano
solo a litigare.
“Dreißig Sekunden!”
Trenta secondi, grida lo starter.
Sullo schieramento di partenza è calato il silenzio; ognuno cerca
quella concentrazione quasi dolorosa che solo gli eventi agonistici
sanno dare: se i muscoli vacilleranno, dovrà essere la mente a portarci
al traguardo.
Da qua in avanti saremo solo avversari; la fratellanza dello sport,
quella che ieri sera ci ha fatto accogliere con rinnovata simpatia alla
cerimonia protocollare di apertura del mondiale ed ha livellato ogni
differenza culturale o linguistica, adesso lascia spazio all’agonismo
puro. La ritroveremo due centimetri dopo il traguardo.
Una vecchia abitudine vuole che nel Nordic Walking le gare maschili e
femminili partano insieme; è uno di quei modi di fare a metà strada tra
gentlemen agreement e tradizione che caratterizzano ogni sport, come
quando nel tennis si chiede scusa all’avversario per avere carpito un
quindici grazie al nastro della rete, quasi che quel punto ci
dispiacesse di averlo guadagnato.
C’è anche la Dani quindi, nello schieramento con me; vedo che è cerea, come sempre quando la sua concentrazione è alle stelle.
Spero solo che resista ancora questi trenta secondi prima di esplodere.
Sbircio con la coda dell’occhio gli atleti più vicini, per cercare di
prevederne le mosse e non essere ostacolato alla partenza; il mio
sguardo incrocia per un attimo quello di Michael, il campione del mondo
uscente, un ragazzone tedesco buono come il pane, sempre sorridente e
gentile con tutti, che ha occhi solo per la sua mogliettina con la
quale forma una coppia piacevolissima.
Adesso è tutta un’altra persona; ricambia il mio sguardo con
un’occhiata simile a quella di Ivan Drago, il pugile russo che
apostrofò sul ring Rocky Balboa sibilandogli “Io ti spiézzo in due…”.
Lo farà puntualmente e sarà poi al traguardo con la mano tesa e il suo
mite sorriso a farmi i complimenti, anche se oggi per lui, a causa di
un malore, ci sarà solo la medaglia di bronzo.
“Zehn Sekunden!”
Dieci secondi; oddio, che ci faccio qui?
Sono tutti più giovani, più alti, più grossi, più belli e più allenati;
davanti ventuno virgola due chilometri di fatica e solitudine.
Che ci faccio qui?
Ragionamento vano ed intempestivo, perché nel frattempo lo starter chiama il count down per la partenza.
Hai voluto la bicicletta?
“Fünf, vier, drei, zwei, eins, BANG!”
La stagione conferma la sua follia meteorologica: fa un caldo che si
scoppia; basta il primo chilometro per capire che le cose sono cambiate
e che il livello tecnico ed atletico è andato alle stelle.
La nazionale polacca, che ha qualificato oltre trenta atleti per una
età media che non arriva ai venticinque anni, è subito là davanti e
imprime alla gara un ritmo forsennato. Giovani e forti andranno così
fino al traguardo, asfaltando letteralmente il resto del mondo,
vincendo tutto ciò che c’era da vincere e lasciando agli altri solo
poche briciole, mentre caldo e ritmi elevatissimi faranno non poche
vittime illustri.
La gara sarà un vero massacro e sulla linea del traguardo si vedranno
tante facce stravolte dalla fatica, comprese le nostre, ma nessuno
mollerà, perché lo sport prima di tutto è sacrificio e gli sport di
fondo sono l’apoteosi della capacità di soffrire e di tirare fuori il
meglio che un uomo ha dentro di sé.
All’arrivo, tra le furie biancorosse compare un tricolore: Daniela ce
la fa a confermare il quinto posto dello scorso anno, in un capolavoro
di tecnica e di abnegazione, entrando così nel ristretto gotha mondiale
di atlete non polacche capaci di avvicinarsi al podio. Io chiudo con lo
stesso riscontro cronometrico dell’edizione 2010, che non è poco vista
l’età che avanza, ma questo tempo, che l’ultima volta mi era valso
l’undicesimo posto, oggi basta appena appena per arrivare ventiduesimo.
Va bene così: il mondo cambia, i giovani vengono avanti e a noi rimane
il compito di mostrare loro che è possibile non mollare mai, anche
quando gli anni passano, anche quando mantenersi in forma costa caro.
In veste di caposquadra della nazionale azzurra, alla cerimonia di
premiazione mi sento in dovere di complimentarmi con la responsabile
del team polacco; le dico di portare in Patria le congratulazioni della
lontana Italia, per tutto ciò che hanno saputo fare nello sport e per
lo sport.
Lei, una bella ragazza che si e no arriva alla trentina, udendo le mie
parole è sopraffatta dall’orgoglio nazionale, mi salta al collo e si
scioglie in lacrime, dicendomi grazie in tutte le lingue che conosce.
Evidentemente in Polonia la parola “Patria” indica ancora qualcosa per
cui ci si può e ci si deve commuovere e non un calderone che va a fondo
a causa di questo o di quell’altro politico, quasi che ognuno di noi
non dovesse fare la propria parte.
Lo vedremo chiaro ogni volta che nella hall delle premiazioni risuonerà
l’inno polacco, nei loro volti, nei loro occhi lucidi, nella loro
composta ma immensa e strameritata gioia.
Ed altrettanto evidentemente in Polonia essere sportivi non significa
solo andare in delirio per una sfera di cuoio presa a calci da ventidue
milionari, ma significa ancora sacrificio, orgoglio ed educazione
sociale.
D’altra parte non è un caso che il Papa più grande, quello che insegnò
al mondo che anche lo sport è un insostituibile mezzo di cultura e di
fraternizzazione, sia venuto proprio da quelle parti.
Grazie, Amici polacchi, non tanto perché ci avete asfaltato senza pietà
sul tracciato, ma perché ciò che portiamo a casa da questo mondiale è
la confermata certezza che abbiamo tanto, tanto da imparare e che se
non cominciamo ad allungare lo sguardo oltre i nostri confini, oltre a
questo Bel Paese che non necessariamente rappresenta er mejo in
qualsiasi attività umana, come troppo spesso siamo abituati a pensare,
finiremo per decadere.
Da domani si ricomincia; l’asfalto polacco pesa sul mondo del Nordic
Walking e il prossimo anno una piccola, ma significativa picconata
dovrà venire anche dall’Italia, speriamo con l’aiuto di qualche giovane
determinato, che abbia voglia di impegnarsi in uno sport che non
promette fama e denaro, ma solo sudore e tanta, tanta fatica.
Intanto, se qualcuno volesse avvicinarsi a questa attività
meravigliosa, ci trova qua: